10 febbraio - GIORNO DEL RICORDO

10/2/2021

LE FOIBE
Per molti anni, nel corso del dopoguerra, tra gli anni Cinquanta e Novanta, si è fatto un gran tacere sulla tragedia che ha colpito gli italiani della Venezia Giulia e Dalmazia, con la pulizia etnica dei comunisti di Josip Broz Tito, sviluppatasi con maggior vigore negli anni 1943-1946.
Questo dramma è noto ai più come “massacro delle foibe”, un termine a tal punto sconosciuto nel dopoguerra che i dizionari italiani spiegando il significato del termine, lo indicavano fino a qualche tempo fa come delle profonde voragini di origine carsica dove gli abitanti dei luoghi erano soliti gettare carcasse di animali, scarti agricoli o altri oggetti inutili ed ingombranti, senza fare un minimo cenno al fatto che quelle fosse, quelle cavità, ospitarono nell’ultimo viaggio tremendo e mortale migliaia di persone: un numero ingente di italiani invisi al regime comunista solo in quanto tali, la loro colpa unica era quella di essere italiani. Non solo: esse diventarono la tomba di molti sloveni e croati anticomunisti, la cui unica colpa era quella di essere anticomunisti; alla stessa stregua di quanto successe in Italia alla fine della guerra civile dove numerosissimi furono gli ammazzamenti.
Uomini, donne, bambini venivano prelevati di notte dalle loro case dai partigiani titini legati l'un con l'altro con filo di ferro, accompagnati sull’orlo della foiba, uccisi nella maggior parte dei casi con il classico colpo alla nuca e fatti cadere nell’anfratto.
Si legge nei testi: “Improvvisati tribunali, che rispondevano ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione, emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s'intendeva creare. A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi dei fascisti, nella quale tuttavia apparivano anche persone estranee al partito e che non ricoprivano cariche nello Stato italiano. Vennero tutti arrestati e condotti a Pisino. In tale località furono condannati e giustiziati assieme ad altre persone di etnia italiana e croata” [G. La Perna, Pola-Istria-Fiume 1943-1945, Mursia; M. Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, Il Mulino, 2007, p. 244; Massacri delle foibe, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana].

SIMBOLI: NORMA COSSETTO E  I FRATELLI LUXARDO
Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria comune dei cittadini per la loro efferatezza: tra queste vi sono quelle di Norma Cossetto,  di don Angelo Tarticchio e delle tre sorelle  Radecchi   [Cossetto Sig.ra Norma, su quirinale.it.].


Dopo che la sua famiglia aveva ricevuto minacce continue e la sua casa era stata razziata, il 27 settembre 1943 un gruppo di partigiani jugoslavi e italiani convocò Norma Cossetto, una ragazza di 23 anni residente a Visinada, universitaria a Padova, di nulla colpevole se non di essere italiana, presso il comando partigiano  che aveva sede nell'ex-caserma dei carabinieri di Visignano;  lì la studentessa fu invitata a entrare nel movimento partigiano, ma ella oppose un netto rifiuto venendo, nonostante ciò, rilasciata da un partigiano che conosceva la sua famiglia.
L'indomani la donna fu arrestata da altri partigiani, che probabilmente non condividevano quel rilascio, e condotta nell'ex-caserma della Guardia di Finanza di Parenzo insieme ad altri parenti, conoscenti e amici. Qualche giorno dopo Visinada fu occupata dai tedeschi, e i partigiani effettuarono un trasporto notturno dei detenuti presso la scuola di Antignana, adattata a carcere. In tale luogo Norma Cossetto fu tenuta separata dagli altri prigionieri e sottoposta a sevizie e stupri dai suoi carcerieri: legata ad un tavolo, venne violentata ripetutamente dai suoi aguzzini. 
La notte tra il 4 e 5 ottobre tutti i prigionieri legati con fili di ferro furono condotti a forza a piedi fino a Villa Surani. Ancora vivi, furono gettati in una foiba delle vicinanze. Le tre donne presenti nel gruppo subirono nuovamente violenze sessuali sul posto prima di essere gettate a loro volta nella foiba.
Quando il padre Giuseppe Cossetto venne a conoscenza dell'arresto della figlia si aggregò a un reparto della Milizia di Trieste e rientrò a Visinada per cercare informazioni sulla figlia, ma il 7 ottobre fu accoltellato da un partigiano insieme ad un suo parente, Mario Bellini, che lo aveva accompagnato nelle ricerche. I corpi dei due furono gettati giorni dopo anch’ essi in una foiba.
Il 10 dicembre 1943, nel corso dell' “Operazione Nubifragio”, l'esercito tedesco occupò l'Istria; in quegli stessi giorni i vigili del fuoco di Pola comandati dal maresciallo Arnaldo Harzarich, impegnati a recuperare corpi da una foiba profonda 136 metri, estrassero anche quello di Norma Cossetto, il cui cadavere si trovava in cima ad una catasta di ottanta corpi: presentava entrambi  i seni amputati e la (gli organi genitali seviziati –ndr) da un oggetto di legno.  [Guido Rumici, Infoibati (1943-1945). I Nomi, I Luoghi, I Testimoni, I Documenti, Mursia, 2002; Licia Cossetto, Il grande dolore di una famiglia spezzata (PDF), in la Voce del Popolo, Fiume, 9 febbraio 2008].
Alla Cossetto nel 2005 venne conferita la medaglia d'oro al valor civile dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Il comune di Gorizia ha una via a lei dedicata dal febbraio 2009, così come dal luglio 2011 il comune di Narni e dall'ottobre 2012 il comune di Bolzano e il comune di Fano. Nel febbraio 2010 le venne intitolato il parco di Villa Maioni, sede della biblioteca di Verbania. Nell'aprile 2012 il comune di Limena le intitolò la biblioteca. Dal gennaio 2013, inoltre, anche il comune di Calalzo di Cadore rende tributo a Norma Cossetto avendole intitolato la propria sala consiliare, mentre a Grumolo delle Abbadesse le è stata dedicata la Piazza del Municipio. Nel 2017, anche da parte dell'amministrazione comunale di Latina le è stata dedicata una lapide commemorativa. Fino al 2011 il nome di Norma Cossetto era iscritto in una lapide all’ Università di Padova dove la si annoverava tra i caduti partigiani.
Gli storici fanno ascendere il numero degli assassinati ad almeno 15/20.000, ma non tutti furono infoibati: le foibe sono una caratteristica del suolo istriano; in Dalmazia i condannati venivano fatti affogare con una pietra al collo e molti furono i fucilati o i morti di fame e di stenti nei campi di concentramento sloveni e croati. Tra questi uccisi per annegamento in mare vi furono i fratelli  Nicolò e Pietro Luxardo, industriali, produttori del celebre liquore maraschino [Nicolò Luxardo De Franchi, Dietro gli scogli di Zara, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 1999;  La Luxardo e la Romagna, La Voce di Rimini, 14 giugno 2004].
 “Foibe” è quindi un termine usato spesso in senso generico, ad indicare l’olocausto istriano, ma i sistemi di soppressione non furono sempre gli stessi; così come le “camere a gas” in Germania, dove i prigionieri di guerra morirono per lo più a causa di epidemie, di stenti, di malnutrizione.
Le foibe non rappresentarono poi solo un sistema di uccisione e di sparizione delle persone attuato solo dai titini. Anche nelle nostre zone montane, ad esempio il  Cansiglio, tra Belluno e Treviso, sopra Vittorio Veneto, ospitò decine di “forre-foibe-bus”, ognuna rubricata con un nome specifico, all’ interno delle quali furono ritrovati a fine guerra i corpi di militari fascisti e tedeschi, ma anche di molti civili, assassinati dai partigiani comunisti.
Lo scopo di questi stermini era la pulizia etnica: uccidere, ma anche infondere paura per far fuggire dall’ Istria il maggior numero di italiani. Non solo foibe dunque, ma anche attentati e stragi, la più nota delle quali fu perpetrata a Vergarolla di Pola nell’ estate del 1946, quando, profittando della presenza di molte famiglie radunatesi in spiaggia per assistere ad una gara di nuoto furono collocate un gran numero di mine fatte poi “inspiegabilmente” esplodere, che causarono la morte di più di cento persone. Questo tipo di terrorismo portò allo spopolamento di intere città ed il 90 per cento di giuliano-dalmati finirono per abbandonare le proprie case ed i loro beni: da Fiume se ne andarono 54mila su 60mila abitanti; da Rovigno 8mila su 10mila, a Dignano 6mila su 7mila.
Si è detto, da parte di qualche storico, che Mussolini impose in quelle terre una italianizzazione forzata, di assimilazione delle minoranze etniche e nazionali. In realtà egli operò perché l’ Italia si riappropriasse di una sovranità usurpata in una terra dove, come si puo’ notare ancor oggi dalle vestigia storiche, anche le pietre parlano italiano. Ben diversa ed ingiustificata fu invece l’assimilazione forzata introdotta in quel periodo in molti altri paesi come la Francia o il Regno Unito, oltre che dalla stessa Jugoslavia soprattutto nei confronti delle proprie minoranze italiane, tedesche, ungheresi e albanesi. Si potrebbe anche ricordare la situazione degli ungheresi di Transilvania, dei bulgari di Macedonia, o degli ucraini di Polonia.

L’ESODO
Ebbe così inizio il grande “esodo”, il secondo termine rimasto sepolto per anni negli archivi della menzogna, che interessò secondo lo storico Indro Montanelli almeno 350mila persone.
Arrivati in Italia vi trovarono una società ostile, ed un sospettoso Partito comunista italiano.
Molti di loro venivano tacciati di essere "fascisti" e "relitti repubblichini", "carnefici che si atteggiano a vittime" e "indesiderabili" che scappano "per sfuggire al giusto castigo della polizia popolare jugoslava". Il prodotto di questa odiosa propaganda contro uomini, donne e bambini inermi privi di cibo e di vestiario, furono episodi di intolleranza spregevoli come quello che avvenne alla stazione di Bologna, quando a un convoglio di profughi fu impedito di fermarsi per dissetare i bambini a bordo o quando, nel 1948, a Taranto, diversi militanti vicini all’ideologia comunista cercarono di assaltare l'edificio che ospitava gli esuli da Pola.
Voi saprete, perché ne è stato tratto anche un film-documentario, che a Trieste sorge il noto “Magazzino 18” che ospita cimeli, strumenti di lavoro, pezzi di vita quotidiani abbandonati dai profughi impossibilitati a portare con loro quelle poche povere cose: un “Museo della Memoria” che, come Auschwitz, sarebbe interessante far visitare ai nostri giovani perché comincino a conoscere la storia negata.
Finché il Pci è stato al governo foibe ed esodo rappresentarono un tabù, perché Togliatti sembrava dipendere da Mosca, e certamente dipendeva da Mosca il dittatore Tito. Quando costui ruppe con Stalin, gli americani suggeriranno al governo italiano di mettere a tacere il caso. Perché, nello scacchiere dei due blocchi, la Jugoslavia in quel momento era diventata preziosa per gli Usa che si opponevano ai russi. Solo col crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda si iniziò a parlare, sottovoce, di queste cose, ma prima di ottenere cittadinanza nei libri di testo e nei consessi pubblici passeranno ancora anni.
Solo nel 2004 il nostro legislatore ha voluto istituire la solennità del Giorno del Ricordo che noi oggi celebriamo in questa sala come in migliaia di altri luoghi in Italia e all’ Estero. Anche per estirpare la mala pianta del falso storico e del negazionismo di chi, come la giornalista triestina Claudia Cernigoi vorrebbe far credere che le foibe sono (cito testualmente) un’invenzione della «propaganda nazifascista» tesa a riproporre un «neoirredentismo» italiano [Claudia Cernigoi, Operazione foibe a Trieste. Come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo, Ed. Kappavu, Udine 1997] e rifiutando ogni pietà e diritto al ricordo per questi trucidati [affermazioni presenti on line e contenute in Archiviato il 12 aprile 2011 in Internet Archive].
Ma il seme, nonostante queste voci isolate, ha germogliato e la Verità ha trionfato, almeno in parte, sul silenzio delle speculazioni politiche e della menzogna.