La Resistenza in Umbria: l’oscuro caso di Rina Petrucci

27/6/2019

“Da Polino venni portata a Salto del Cieco. Insieme a me e a mio marito la signorina Rina, postina in Polino” dichiara alla Guardia Repubblicana la signora Erinna Candidi in Vissani, maestra elementare del borgo umbro, l’indomani della sua liberazione da una lunga prigionia. L’episodio della cattura dei coniugi Vissani (25 e 21 anni) e di Rina (Caterina, nda) Petrucci è noto agli studiosi locali, seppure sia sempre mancata documentazione tale da attestarne la veridicità, anche parziale. Un primo passo verso la ricostruzione dei fatti di Polino arriva nel maggio scorso, quando il ricercatore Pietro Cappellari ha rinvenuto nel fondo “Mostra della Rivoluzione Fascista” (conservato all’Archivio Centrale dello Stato), l’originale della denuncia presentata dalla coppia alla Guardia Repubblicana. L’Associazione famiglie caduti e dispersi della RSI, che sostiene la ricerca di Cappellari, ha depositato la documentazione al Comando provinciale dei Carabinieri di Terni e alla Stazione dei Carabinieri di Arrone (TR).

I fogli fanno parte di un più voluminoso incarto dedicato all’Umbria nel periodo settembre 1943 – maggio/giugno 1944. Il dattiloscritto è dunque una risorsa preziosa, anche perché dipana i dubbi sulla sorte della Petrucci,. Nelle zone indicate nella dichiarazione operava la Brigata partigiana “Gramsci”.

A questo punto è necessario un passo indietro. La Brigata garibaldina “Antonio Gramsci” nasce dalla fusione di formazioni del ternano e dell’alto reatino attive già all’indomani dell’Armistizio. Malgrado in dicembre e in gennaio si registrino scontri con le forze germaniche e della RSI, l’unità entra “ufficialmente” in scena agli inizi del mese di marzo ‘44. Ruolo decisivo per la strutturazione della brigata è giocato dai prigionieri slavi evasi dal carcere di Spoleto e dal campo di Colfiorito, in quanto alcuni sono ex soldati del Narodnooslobodilačka vojska i partizanski odredi Jugoslavije di Josip Broz “Tito” e perciò dotati di nozioni di combattimento e di guerriglia.

Inoltre, nell’Alto Lazio l’attività dei garibaldini è sostenuta dalla Banda “Lupo”, gruppo di civili e militari guidati da un sottotenente del Regio Esercito, con ogni probabilità legato al Fronte Militare Clandestino di Montezemolo e in contatto con le altre due bande di soldati allora in attività: la “Melis” nel comparto spoletino e la banda dei Sette Comuni del colonnello Vincenzo Toschi in Sabina.

A confermare il peso operativo della “Lupo” è lo scontro di Poggio Bustone (RI), contrasto ad una azione di rastrellamento condotta dal Questore di Rieti Bruno Pannaria che si conclude con la morte del poliziotto e di diversi militi della Guardia e della polizia repubblicana, nonché con il ritiro dei reparti. E’ il 10 marzo, data che suggella la collaborazione fra i ribelli con le “stellette” e i garibaldini; poi, il 30 il sottotenente scompare improvvisamente forse, scrive il Comandante della “Gramsci” Alfredo Filipponi “Pasquale”, catturato dai tedeschi o ucciso. La sorte dell’ufficiale è tuttavia ammantata ancor oggi da un alone di mistero.

La Resistenza in Umbria: il massacro del Venerdì Santo

I fatti di Poggio Bustone e l’intensificarsi di assalti a depositi di viveri e di armi convincono il platzkommandantur di Rieti ad intervenire. La missione di “contro-banda” è affidata ad un colonnello che si è fatto le ossa nei Balcani, Ludwig Schanze. E’ lui a guidare, infatti, il primo assalto contro la roccaforte partigiana di Leonessa, il giorno di Venerdì Santo del 1944 a cui segue l’esecuzione di 51 civili innocenti. Più tardi l’Operazione “Osterei” (Uovo di Pasqua) investe i comuni del confine umbro-laziale nel giorno di Pasqua con numerose vittime fra i civili e i partigiani.

Il duro colpo fiacca il morale della Brigata, rendendo impossibili nuove azioni. I partigiani superstiti, dunque, si concentrano nel cercare e nel neutralizzare i presunti agenti del nemico e le sue eventuali spie. Un gioco “sporco” perché, talvolta a fronte dell’ assenza di prove, finisce per coinvolgere innocenti sulla base di un sospetto o di un’accusa priva di fondamento.
La Resistenza in Umbria: la pagina buia delle esecuzioni sommarie

A Iolanda Dobrilla, adolescente originaria di Capo d’Istria, è sufficiente conoscere il tedesco per essere assassinata a Cottanello (RI) e a Primo De Luca (Guardia Repubblicana) basta indagare sulla sorte della ragazza per essere a sua volta ucciso. A Polino, ameno borgo montano a pochi chilometri da Terni, finiscono nel mirino i coniugi Vissani, lui impiegato e lei maestra elementare al tempo incinta. Due dipendenti pubblici, diremmo oggi, il cui lavoro nelle istituzioni della RSI (la scuola e l’ufficio) può essere stato interpretato come “collaborazionismo”. E’ il 24 aprile 1944 quando un gruppo di partigiani fa irruzione nella loro casa.

Racconta Erinna: “Dopo aver distrutto le masserizie e rubato il trasportabile, il capo, tale ‘Bobò’ mi portò nella mia camera da letto dove mi sottoponeva a sevizie innominabili che inseguito ho dovuto subire anche dai suoi uomini”. Roberto Vissani: “Non conoscevo nessuno dei componenti della banda ma erano tutti italiani. Erano vestiti in varie maniere e molti portavano sul cappello il distintivo comunista con la falce e con il martello”. Il marito sostiene, inoltre, di essere stato picchiato e di essere condotto in località Salto del Cieco con la moglie e con Rina Petrucci. I coniugi si salvano dalla fucilazione per “l’intervento di un certo Pasquale” (presumibilmente il comandante della Brigata) mentre la postina, compagna di prigionia, è giustiziata la mattina seguente.

“Non so se sia stata seppellita – dichiara Roberto Vissani – Con il suo eroico comportamento ha suscitato l’ammirazione degli stessi banditi”. Rina, si legge nel documento, è fidanzata con un ufficiale dei paracadutisti. A Spoleto (a circa 40 chilometri da Polino) il Reggimento “Folgore” ha un centro di addestramento per le reclute della specialità. È forse proprio il legame sentimentale il movente della cattura e del duro interrogatorio che si conclude con la tragica morte della giovane che, stando ai Vissani, si sarebbe rifiutata di accusare “altre persone” (di collaborazionismo, nda).

I coniugi saranno poi spostati da una località all’altra per giorni: “Cascia, Norcia e di nuovo al Salto del Cieco”, trascorrendo anche un periodo sorvegliati in una caverna. La liberazione arriva a fine mese e in modo fortuito: i prigionieri sono rilasciati durante un rastrellamento della Guardia Repubblicana.

Purtroppo non si tratta dell’unico caso di maltrattamento ai danni di civili accaduto in Umbria fra l’aprile e il maggio 1944: alla già citata Dobrilla vanno infatti aggiunti gli assassini di Augusto Centofanti e di Maceo Carloni, quest’ultimo sindacalista delle Acciaierie di Terni torturato e ucciso il 4 maggio 1944. L’amnistia del dopoguerra impedirà agli organi competenti di approfondire le indagini sulle responsabilità di alcuni partigiani nel corso della Guerra civile. Negli anni successivi, poi, una storiografia locale colma di lacune ha impedito di tracciare un profilo chiaro e obiettivo della vita operativa della “Gramsci”. Studi recenti, sovente etichettati come “revisionisti”, hanno ridimensionato l’incisività del reparto nella lotta ai tedeschi, riconoscendo maggiore capacità operativa alle bande militari (“Melis” in testa) e ai partigiani jugoslavi.

Il documento reperito da Cappellari è, dunque, un nuovo piccolo ma significativo tassello nella ricostruzione del passato locale nel solco di quella scientificità della ricerca per decenni trascurata. Un’opera di analisi che va a vantaggio dei ricercatori e della Resistenza stessa, poiché riconosce e distingue chi ha combattuto nel nome della libertà e dell’indipendenza della Patria da chi inseguì finalità di altra natura.

Marco Petrelli